L’uomo che vive all’interno della società moderna si trova in potenziale connessione con il mondo che lo
circonda; malgrado tale connessione è drammaticamente isolato dal resto delle persone con le quali
interagisce o crede di interagire.
Assuefatto dalla comunicazione veicolata da tecnologie sempre più
capillarmente disponibili, l’uomo cede alla tentazione di autosufficienza che questo tipo di realtà gli
propone e dimentica la relazione umana più autentica. L’uomo sconfina in una sorta di monachesimo
inverso dove la solitudine è imposta come necessaria conseguenza di un abuso tecnologico anziché la
condizione indispensabile per una ricerca intima di se stessi.
Da questa riflessione nasce il titolo del
progetto fotografico che provocatoriamente, prende in prestito una parte dell’espressione latina che
campeggia nel chiostro del convento francescano di San Salvatore al Monte a Firenze “O beata solitudo o
sola beatitudo”.
Un singolare anagramma attribuito ad esegeti cristiani del medioevo che allude alla
pienezza della serenità spirituale raggiungibile nel silenzio e nell’isolamento della vita contemplativa. Una
solitudine diametralmente opposta a quella che l’uomo moderno, tratteggiato in questi scatti, vive come
conseguenza di un distorto uso dei mezzi di comunicazione o più ampiamente per aver accettato con
passività modelli relazionali o di lavoro che portano ad un progressivo ritiro sociale.
L’uomo da secoli
intento a trovare il suo posto nel mondo attribuendo un senso alla sua stessa esistenza nell’epoca
contemporanea sembra aver rinunciato a porsi domande profonde e cruciali. Ha abbandonato la ricerca
del vero, di un sapere che al pari di un’arte liberarle lo affrancasse dall’ignoranza. L’uomo moderno si è
riconosciuto talmente tanto in tutto ciò che di materiale e più accessibile lo circonda da divenire sordo e
insensibile a realtà più intime e metafisiche. Le sue creazioni materiali lo hanno letteralmente anestetizzato e
reso solo nel suo aspetto più negativo. Lo sviluppo materiale si è sostituito a quello della persona. L’uomo del 21’
secolo sembra cercare la propria identità solamente in riferimento a ciò che di più tangibile crea, finendo
così per gettare le basi di un’illusione a cui egli stesso si condanna: una “Beata solitudo".